domenica 29 novembre 2020

La Proprietà è un furto ? No..è anche peggio..E' un non essere (parafrasando Francesco Papa di Roma )




L’idea  che  il Papa di Roma,l’attuale Papa di Roma, divenga  ecclesialmente una sorta di senatore del pianeta  non mi è gradita.

Ma  in ambito etico e civico Papa Francesco con l’ultima enciclica  ha  compiuto una  inversione profonda di lettura e di prassi  talmente  profonda   che  nessuno dei tenutari di tutti i Mainstream contemporanei  di qualsivoglia marciapiede dove essi battono e camminano  ne  ha diffuso notizia ,anzi l’ha silenziata. In particolare  ed odiosamente  la  sinistra  fucsia,quella liberal-radicale, liberista, tematizzante il capitalismo compassionevole ma in realtà guardia bianca e sentinella del mercato e del mercato globale. Ovviamente  in Italia  ha fatto un favore  gradito al  noto presidente di Confindustria  al quale non ha inviato alcuna copia dell’enciclica

I sindacati ? ormai  si sono  volutamente ridotti al modesto ruolo di patronati interessandosi  solo di contenziosi per  frammenti e per singole  fattispecie  e mai per una  visione alternativa progettuale. I  sindacati della scuola, tutti i sindacati della scuola, ne  sono espressione immediata


Oggi sull’HP Piero SchiavazziReporter, HuffPost Italy  (https://www.huffingtonpost.it/entry/concistoro-in-salsa-orientale-il-cappello-cardinalizio-sul-mega-patto-rcep_it_5fc27e3dc5b68ca87f84aa48?utm_hp_ref=it-homepage&fbclid=IwAR3-hXyGRpr8XBkFq_k92yylISP4bUR9srhYI37c734pZIm2RD66jLBbPR8)

evidenzia  nell’enciclica  uno  “Strappo epocale, radicale che si avverte stridente, quando dall’idea, generica e innocua, di “funzione sociale” della proprietà si passa, tout court e provocatoriamente, a definirla un diritto “secondario” e “derivato”. “


Quindi a) la  proprietà privata non è più diritto soggettivo inalienabile e da garantire  ex se et non ex  consensu populi ma solo un semplice  interesse legittimo sottoposto radicalmente alla  primazialità delle norme legislative e alla serietà del buonsenso di giustizia e di redistribuzione del reddito


b) un interesse legittimo per di più derivato e quindi fuori dal cosiddetto diritto naturale.La persona  non è  strutturalmente  battezzata come assegnatario del diritto di proprietà. Ma la proprietà  è in fondo”aristotelicamente”  un ‘accidens’,un non essenziale,una  foglia della storia. Oggi c’è come interesse legittimo subordinato,domani non è previsto che  continui ad esserci e  in quanto non essenziale  nessuno  ne  celebrerà i  funerali


c) ma se  è un accidens foglia della storia essa  è nientificabile ,appartiene all’ordine  del non essere .E’ generata dal Nulla e al Nulla  potrà tornare. Se esiste oggi,esiste solo nell’ordine  della provvisorietà senza  autonomia e  senza pretesa alcuna  di infinito..E’ solo cattiva infinità. Divide.E’ gemella della Menzogna 



Ed  infatti Schiavazzi alla fine cita l’enciclica ““Se lo guardiamo a partire dal principio della destinazione comune dei beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo”. “Che cosa significano oggi espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Tante volte, mentre ci immergiamo in discussioni semantiche o ideologiche, lasciamo che ancora oggi ci siano fratelli e sorelle che muoiono di fame o di sete, senza un tetto o senza accesso alle cure per la loro salute”.


Ancora  il Papa  sarà attaccato dalla destra cattolica e da tutta la destra  cristiana in ogni sua articolazione. Ma  questo non è in fondo  una seria preoccupazione.E’ preoccupazione ma  governabile. Codesta destra è plebea e becera .  Sarà attaccato  viscidamente sotto sotto e sotto traccia  dal mainstream liberal e sorosiano del pianeta ..sorrisi davanti e pugnalate alle spalle. Questo  è veramente preoccupante. 

La vedo brutta per Francesco,ma veramente brutta. 




venerdì 6 novembre 2020

Elogio del marginale vero centro della vita ALBERTO ASOR ROSA.anno 2015







Nel corso delle ultime settimane sono apparsi in Italia due libri che portano nei propri titoli la parola "margine". Si tratta di "Al margine", di Francesco Magris (Bompiani) e di "Margini d'Italia", di David Forgacs ( Laterza). Naturalmente si tratta di una combinazione. Ma anche le combinazioni, se guardate bene,possono riserbare delle sorprese. "Al margine" (ma forse si potrebbe leggere anche "sul margine", ovvero, latinamente, " de margine") è un agile libretto, in cui l'autore investiga aspetti diversi di una parola – e delle realtà che di volta in volta le corrisponde – ricchissima valenze di ogni genere, sia positive sia negative. Ma Magris, se non erro, segue di preferenza il percorso positivo. Ossia va sfogliando, di capitolo in capitolo, come sia possibile (e sia avvenuto, e possa avvenire) che, trovandosi o addirittura mettendosi ai margini, si scoprano potenzialità e forze nascoste che, restando cocciutamente ancorati al centro, non si sarebbero mai neanche sospettate.

In virtù di una cultura poliedrica Magris può, nella sua elaborazione, fornire dati e riprove da letterati e artisti di ogni tempo e paese (il libro si apre nel nome del «grande poeta gradese» Biagio Marin, ma va avanti con quelli di Saba, Hawthorne, Pirandello, Carver, Kafka, Robert Walser, Bukowski), oppure discutere le impostazioni economiche della scuola marginalista e concludere con una riflessione su pregi e limiti della democrazia occidentale. Non si andrebbe troppo lontani dal vero, segnalando la straordinaria rilevanza che, nell'ottica di Magris, occupa il punto di vista della sua città di origine, Trieste; la «frontiera» per eccellenza (ovvero il «margine estremo», anche nel senso letterale del termine) nell'immaginario italiano degli ultimi due secoli, forse proprio oggi drammaticamente rilanciata dalla sua contiguità con il potenziale inferno balcanico.




Margini d'Italia è un ponderoso volume di storia italiana contemporanea. L'autore, David Forgacs, è uno di quegli storici inglesi e americani (o, talvolta, le due cose insieme), cui si devono assaggi così rilevanti – da un'ottica opportunamente spostata rispetto alla nostra – del nostro modo d'essere e della nostra identità. Il sottotitolo spiega forse meglio contenuti e obiettivi dell'opera. Recita: L'esclusione sociale dall'Unità a oggi .

Per Forgacs, dunque, il «margine » è il luogo (ideale, politico, culturale, antropologico) su cui le classi italiane dominanti, sia pure variamente motivate, hanno collocato (dal punto di vista ideologico, ma anche pratico e fattuale, spesso pesantemente fattuale) i subalterni, i diversi, gli alieni, i «marginalizzati», appunto.


Forgacs ne descrive cinque fondamentali esempi: le Periferie urbane ; le Colonie (Forgacs ha fatto un lungo soggiorno in Abissinia per documentarsi); il Sud ; i Manicomi; i Campi nomadi . Se si esclude l'ultimo capitolo, forse più marginale rispetto agli altri, si tratta di un lavoro di solidissimo impianto, ed esiti inequivocabili, che apre orizzonti sul modo di «essere italiani» meno scontati di quanto si potrebbe pensare.


Per uno come me, vedersi messo sotto gli occhi un quadro così preciso di ciò che ha significato per Roma e la (un tempo) leggendaria «campagna romana» la realizzazione, a varie tappe e per il corso di più di un secolo, dei mostruosi quartieri popolari a Sud e a Est della città (poi anche, inesorabilmente, a Nord e a Ovest), ha consentito di ripercorrere con evidenza assoluta le tappe di una storia individuale e collettiva, le cui ultime battute sono sotto gli occhi di tutti (io non ho dubbi che anche i processi corruttivi nascano, come nel nostro caso, da una lunga, lunghissima storia).


Dunque, i due libri, nonostante le loro incancellabili diversità, ci mettono di fronte alle prospettive inedite che «guardare ai margini» (l'espressione è di Forgacs) consente di acquisire e che, restando cocciutamente al centro, non riusciremmo mai neanche a intuire da lontano. La bibliografia su «margine» e «marginalità» è sterminata, e i due autori ce ne danno più di un esempio. Difficile aggiungere qualcosa. E tuttavia: la dinamica che questa suggestiva alternanza fra centro e periferia, fra periferia e centro, suggerisce, è in molte situazioni un criterio ermeneutico pressoché permanente. Ossia: in molti casi, invece di «leggerla », una volta che sia stata interpretata e sistemata nei libri, essa è un dato del nostro vissuto, un'esperienza senza la quale non potremmo capire non solo quanto ci è accaduto intorno ma neanche ciò che è accaduto dentro di noi. Faccio un solo esempio, ma rilevante: l'Italia. L'Italia vive da qualche anno un processo di marginalizzazione crescente. Cioè: sta scivolando al margine (e finora su quel margine non ha trovato la carica diversamente positiva che, ad esempio, nelle prospettive di Magris si potrebbe costruire anche «al margine»).


Se ho qualcosa da rimproverare ai due autori è di non aver inserito nelle loro potenziali tabelle di valutazione (forse qualche accenno solo nel capitolo Margine, povertà e dissenso del libro di Magris) il più gigantesco processo di marginalizzazione che abbia riguardato l'Italia nel corso degli ultimi cinquant'anni, e cioè quello sperimentato e vissuto dalla sua classe operaia, processo perseguito con implacabile perseveranza e in taluni casi una dose molto elevata di ferocia: dall'innegabile centralità degli anni Sessanta – fatta di forza e presenza politica e sociale – alla condizione appartata e spesso subalterna, in continua discussione e ridiscussione, di oggi.


È un esempio di cosa significhi stare dentro il flusso delle scelte e degli eventi, e spesso rendersene poco conto, o niente. La mia opinione è che la crescente marginalizzazione della classe operaia – che, in altri termini, giustifica e incrementa la crescente marginalizzazione del lavoro in quanto tale, nei suoi vari aspetti, sia economici sia culturali – determini e spieghi la crescente marginalizzazione dell'Italia rispetto al resto del mondo. Ma è ovvio che di questo si dovrebbe discutere.


https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/08/18/elogio-del-marginale-vero-centro-della-vita37.html

giovedì 5 novembre 2020

La bella storia di Artaban, il quarto re magio






L’Epifania è luce, rivelazione e svelamento che nascono dall’illuminazione. L’Epifania racconta la grazia concessa ai Re Magi che si lasciarono illuminare e guidare dalla stella cometa, fino a trovare la Luce che era nata al mondo per illuminarlo e redimerlo dalle tenebre.

Ma furono soltanto tre, i Re Magi? La tradizione cristiana è ricca di leggende sul quarto Re Magio, non raccontato dai Vangeli, perché non arrivò in tempo, si perse per strada.

La più nota è quella scritta da Henry Van Dyke, pastore della Chiesa presbiteriana, pubblicata nel 1907. Protagonista del racconto è Artaban, che doveva partire assieme agli altri magi, ma si attardò e non fece in tempo a raggiungerli nell’orario stabilito per la partenza. Si mise lo stesso in viaggio per trovare Gesù: la sua ricerca sarebbe durata a lungo, per tutta la vita.

Artaban usò i doni che aveva preparato per Gesù Bambino per darli ai poveri e ai derelitti, e per salvare un bambino condannato a morte dalla strage decisa da Erode.

Ho trovato in rete una deliziosa videostoria, realizzata da Gthamban, e pubblicata sul suo canale youtube, tratta dal racconto di Henry Van Dyke. Mi è piaciuta così tanto che ho voluto tradurla e rimontarla, per nipoti e nipotini,  amici, e lettori di Lettere Meridiane. Potete guardarla qui sotto. Se vi piace, condividetela: è una bella storia di vita e di speranza.

In fondo siamo tutti un po’ Artaban, nel senso che tutti spendiamo la nostra vita in un viaggio alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Spesso li troviamo, senza accorgercene.

Ecco il video, più sotto il testo tradotto e il collegamento alla versione originale, in inglese. Buona visione.



http://www.letteremeridiane.org/2019/01/la-bella-storia-di-artaban-il-quarto-re-magio/


La storia del quarto Re Magio

tratta da “L’altro Re Magio”

di Henry Van Dyke

(1852-1933)

Testo di Gthamban

Traduzione Geppe Inserra



Nell’antica Persia,

in una città di nome Ecbatana,

viveva un uomo

chiamato Artaban.


Artaban faceva parte

di una remota comunità

di studiosi zoroastriani

conosciuti come Magi.


Gli Zoroastriani erano

astrologi e credevano

nella ricerca

del bene e della luce.


All’apparire di una Stella

più lucente delle altre,

Artaban annunciò alla sua comunità

che presto avrebbe raggiunto

altri tre Magi, per cercare con loro

il Re d’Israele appena nato.


Venduti tutti i suoi beni,

Artaban comprò tre preziosissimi

gioielli: uno zaffiro, un rubino

e una perla.


Voleva portarli con sé

per farne omaggio

al Re. Cominciò così

il viaggio di Artaban.


Quando partì, aveva solo

dieci giorni per incontrarsi con

i tre compagni al monte di Nimrod,

presso il Tempio delle Sette Sfere.


Ma, mentre Artaban si avvicinava

al Tempio, il giorno dell’incontro,

vide sulla strada un uomo agonizzante,

che si lamentava.


Che fare? Dare una coppa d’acqua

a quell’uomo morente

o proseguire, affrettandosi

per raggiungere gli altri Magi?


Dato che i Magi non erano

solo astrologi, ma anche

medici, Artaban si fermò.


Con la sua perizia e la sua sapienza

assistette per ore l’infermo, lo curò,

fin quando non gli tornarono le forze.


Dopo essere ripartito e dopo

aver raggiunto il luogo dell’appuntamento,

Artaban scoprì che i suoi amici

se n’erano andati.


Fu così costretto a vendere

lo zaffiro per comprare

una carovana di cammelli per

affrontare il prosieguo del viaggio.


Arrivò a Betlemme proprio mentre

i crudeli soldati di Erode stavano

massacrando i bambini innocenti

di quella città.


L’uscio di una casa era

aperto, e Artaban poter ascoltare

una mamma che cantava

la ninna nanna al suo bambino.


La donna gli disse

che i suoi amici Magi erano

giunti a Betlemme

tre giorni prima.


Avevano trovato Giuseppe

e Maria e il loro bambino,

e avevano lasciato i loro doni

ai suoi piedi. Quindi erano scomparsi

misteriosamente com’erano arrivati.


Giuseppe aveva preso sua moglie

e suo figlio ed era partito in segreto.

Girava voce che fossero andati

molto lontano, in Egitto…


All’improvviso, all’esterno della casa,

rumori, grida, confusione, pianti di donne.

E poi un grido disperato:

“I soldati di Erode

stanno uccidendo i bambini.”


Artaban si affacciò all’uscio

e vide una banda di soldati che

correva per strada, con le spade sguainate

e le mani insanguinate.


Il capitano raggiunse la porta,

ma Artaban lo fermò e gli diede

il rubino, chiedendogli di lasciare

in vita la mamma e il suo bambino.


Quindi Artaban, sempre seguendo il Re,

raggiunse l’Egitto, cercando dappertutto

le tracce della piccola famiglia

che era fuggita prima che arrivasse a Betlemme.


Per 33 anni, Artaban continuò a vagare

alla ricerca del suo Re, spendendo

la sua vita aiutando i poveri e i malati.

Alla fine, arrivò a Gerusalemme,

nei giorni della Pasqua.


C’era una grande commozione

a Gerusalemme. Improvvisamente,

una donna, fatta schiava per debiti.

mentre veniva trascinata in catene dai soldati,

si gettò ai piedi di Artaban.


Prendendo l’ultimo dei suoi tesori,

la perla, lo diede alla ragazza:

“È per la tua libertà, sorella!

È l’ultimo dei tesori che avevo

tenuto per il mio Re”.


Mentre Artaban parlava,

un forte terremoto scosse la città.

Fu colpito da una tegola.


Artaban seppe

che stava per morire

senza aver trovato il suo Re.

La ricerca era finita,

ed egli aveva fallito.


La giovane schiava riscattata, abbracciando

quell’uomo vecchio e morente,

udì una voce dolcissima, e poi vide

che le labbra di Artaban si muovevano

lentamente.


Artaban: “Ah, Maestro, ti ho tanto cercato. Dimenticami.

Una volta avevo preziosi regali da offrirti.

Adesso non ho più nulla.”

Gesù: “Artaban, tu mi hai già dato i tuoi doni.”

Artaban: “Non capisco, mio Signore.”


Allora quella voce inconfondibile

tornò a farsi sentire, e la donna

poté udirla chiaramente.


Gesù: “Quando ero affamato,

mi hai dato da mangiare,

quando avevo sete,

mi hai dato da bere,

quando ero nudo,

mi hai vestito.

Quando era senza un tetto,

mi hai preso con te.”


Artaban: “Non è così, mio Salvatore.

Non ti ho mai visto affamato,

e neanche assetato.

Non ti ho mai vestito.

Non ti ho mai portato nella mia casa.

Per trentatré anni ti ho cercato,

ma non ho mai visto il tuo volto

e non ti ho mai aiutato, mio Re.

Non ti ho mai visto fino ad oggi.”


Gesù: “Quando hai fatto queste cose

per l’ultimo, per il più piccolo

dei miei fratelli – tu le hai fatte per me.”


Artaban si rivolse alla donna

che aveva liberato dalle catene:

“Hai sentito che dice Gesù?

Abbiamo trovato il Re.

L’abbiamo trovato

ed egli ha accettato tutti i miei doni.”


Un lungo sospiro di sollievo

esalò flebilmente

dalle labbra di Artaban.


Il suo viaggio era finito.


I suoi regali

era stati accolti.

L’altro Re Magio

aveva trovato il Re.


E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Matteo 25:40


Artaban. La leggenda del quarto Re


https://www.associazionecheiron.it/artaban-la-leggenda-del-quarto-re/



Nell’antica città di Ectabana, in Persia, viveva un grande saggio, studioso degli astri del cielo di nome Artaban. Un giorno invitò alla sua corte alcuni Magi per informarli di un’importante scoperta che egli aveva fatto.


“Il destino mi ha messo tra le mani una preziosissima pergamena che racconta la nascita di un Re in Palestina. Costui porterà amore e speranza nel mondo. Io e i tre grandi saggi, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, abbiamo interpretato gli astri lucenti e ciò che nel cielo è scritto. Per questo motivo andremo a far visita al nuovo Re. Io partirò prontamente portando con me tre preziosi doni: uno zaffiro, un rubino ed una perla. Tra tre giorni ci vedremo a Babilonia e da lì ci incammineremo insieme. Chi di voi vuole venire?”






Non ci fu risposta. Egli capì con rammarico che nessuno lo avrebbe accompagnato e che sarebbe dovuto partire da solo per raggiungere gli altri tre Re Magi.


Il giorno seguente partì. Durante la traversata di un deserto, sentì un lamento di sofferenza provenire da un’oasi. Si avvicinò e trovò un uomo ferito e in gravi condizioni. Decise di fermarsi per soccorrerlo e lo portò alla città più vicina. Entrati, lo accompagnò in una locanda dove poteva trovare rifugio, riposare ed essere curato.


Purtroppo l’uomo non aveva nulla per pagare la stanza e le cure, così Artaban diede al proprietario della locanda il suo zaffiro per permettere all’infermo di riposare ed essere curato a dovere. L’uomo, per ringraziarlo, gli disse che era venuto a conoscenza della nascita del Salvatore a Betlemme, città dove lui stesso era nato. Fu una grande notizia per Artaban e, nonostante avesse sacrificato il suo dono, sapeva di aver agito per una nobile causa.


I tre giorni erano passati ma comunque riprese il suo viaggio e, giunto a Babilonia, si accorse che ormai i tre Re Magi erano già partiti. Riposatosi alcuni giorni, riprese il viaggio dirigendosi verso Betlemme.


Impiegò molti giorni per giungere a Betlemme e, quando arrivò, scoprì che la città era invasa dai soldati del Re Erode. Egli aveva ordinato di cercare e uccidere tutti i primogeniti maschi perché temeva l’avvento del Re dei Re.


Mentre Artaban camminava per le vie di Betlemme riconobbe il pianto di un bambino che proveniva da una casa. Una donna era a terra rannicchiata e piangeva, tenendo il suo bambino tra le braccia. “I soldati stanno venendo a prendere mio figlio. Ti prego salvaci!” disse la donna ad Artaban. Egli si mise davanti alla porta di casa per sorvegliare e quando arrivò il soldato, gli disse: “Prendi questo rubino e vai via. Lascia in pace questa donna!”. Il soldato strabuzzò gli occhi davanti a quella pietra preziosa e, senza proferir parola, prese il gioiello e se ne andò.


Anche il secondo omaggio che Artaban voleva portare al Re era stato donato. L’uomo chiese alla donna se avesse sentito della nascita di un bambino, alla cui culla giunsero tre Re Magi con dei ricchi doni. La donna rispose: “Sì è successo non molto tempo fa. Ora quella famiglia è dovuta fuggire e nessuno sa dove sia andata”.


Con grande tristezza, il saggio salutò la donna e riprese il suo viaggio.

Passarono 33 lunghi anni e Artaban, ormai anziano e stanco di viaggiare, arrivò a Gerusalemme. La città era deserta perché la popolazione si era riunita vicino ad un monte chiamato Golgota dove stavano per essere giustiziati tre uomini. Uno di questi era da molti chiamato il Salvatore, da altri il Buon Pastore o anche il Re dei Giudei.


Artaban capì che si trattava di colui che da tempo stava cercando e si diresse verso il monte Golgota. Mentre si stava incamminando, sentì le urla di una donna catturata da alcuni soldati. Vedendo Artaban la donna lo pregò: “Aiutami buon uomo! Mi vogliono fare schiava contro la mia volontà!”. Il saggio, che ancora custodiva il terzo dono, prese la perla, la diede alla donna e così riscattò la sua libertà. Con questo gesto Artaban donò anche l’ultimo dei gioielli che voleva portare al nuovo Re!


Seduto a terra con la schiena poggiata al tronco di una grande palma, il vecchio saggio pensò: “Ho dedicato molti anni alla ricerca del nuovo Re ed ho dato via tutte le ricchezze che volevo donargli. Non l’ho mai trovato e, se anche lo trovassi adesso, non avrei niente da dargli per onorarlo!”


Improvvisamente vide una luce davanti a sé, accompagnata da una dolce musica celestiale. Artaban sentì una voce sconosciuta che gli disse: “Artaban non essere triste. In realtà, donando tutte le tue ricchezze a chi ne aveva più bisogno, tu mi hai trovato! In verità ti dico: quanto hai fatto ad ognuno dei tuoi fratelli, l’hai fatto a me!”


Artaban nel sentire quelle parole provò una gioia indescrivibile. Rasserenato, chiuse gli occhi per sempre e raggiunse nei Cieli il Re che tanto aveva cercato




https://www.eticamente.net/48050/la-storia-del-quarto-re-magio.html


https://www.ateatro.info/copioni/il-quarto-re/


https://maovalpiana.wordpress.com/2017/01/06/il-quarto-re-magio-artaban/