martedì 16 giugno 2020

Per i Manifesti delle buone pratiche di resistenza Charles Péguy.


La nostra gioventù. Il denaro.


Siamo gli ultimi. 
Quasi quelli che vengono dopo gli ultimi. 
Subito dopo di noi ha inizio un’altra epoca, 
un altro mondo, il mondo di chi non
crede piú a niente, di chi se ne vanta
e se ne inorgoglisce. 

Subito dopo di
noi ha inizio il mondo che abbiamo
definito, che non cesseremo mai di
definire, il mondo moderno. 

Il mondo degli intelligenti,
 dei progressisti, di quelli che la sanno piú lunga,
di quelli ai quali non la si dà a bere.
Il mondo di chi non ha piú niente da
imparare. Il mondo di chi fa il furbo.

Il mondo di chi non si lascia abbindolare, di chi non è imbecille. Come
noi. 

Cioè, il mondo di chi non crede
piú a niente, neppure all’ateismo, di
chi non si prodiga per nulla e non si
sacrifica per nulla.

CHARLES PÉGUY, La nostra gioventú — Il denaro,
UTET, Torino, 1972, pp. 58–59.


sta  in   

Stefano Borselli
RACCOLTA
1985–2000

I sei pollici del Covile

da  pagina  151  a  pagina  152



scaricabile  senza  oneri



domenica 14 giugno 2020

24 giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo di Pier Paolo Pasolini



https://scrittinediti.wordpress.com/2009/12/16/24-giugno-1974-il-vero-fascismo-e-quindi-il-vero-antifascismo/


Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975
[Saggi sulla politica e sulla società, Meridiani Mondadori, Milano 1999]

«Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile – nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere.

Scrivo “Potere” con la P maiuscola – cosa che Maurizio Ferrarà accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) – solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale).

Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare.


L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. 

Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre. La strategia della tensione è una spia, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo.


Maurizio Ferrara, nell’articolo citato (come del resto Ferrarotti, in « Paese Sera », 14-6-1974) mi accusa di estetismo. E tende con questo a escludermi, a recludermi. Va bene: la mia può essere l’ottica di un « artista », cioè, come vuole la buona borghesia, di un matto. Ma il fatto per esempio che due rappresentanti del vecchio Potere (che servono però ora, in realtà, benché interlocutoriamente, il Potere nuovo) si siano ricattati a vicenda a proposito dei finanziamenti ai Partiti e del caso Montesi, può essere anche una buona ragione per fare impazzire: cioè screditare talmente una classe dirigente e una società davanti agli occhi di un uomo, da fargli perdere il senso dell’opportunità e dei limiti, gettandolo in un vero e proprio stato di «anomia».


 Va detto inoltre che l’ottica dei pazzi è da prendersi in seria considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorché sul problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli.


Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombrosiano (come rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la semiologia. Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza.


Per tornare così all’inizio del nostro discorso, mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico, più un certo quantitativo – completamente convenzionalizzato e estremamente povero – di linguaggio verbale.


È a un tale livello di comunicazione linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro completa omologazione a un unico modello.
Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi (in una citazione protonovecentesca); decidere di mettersi una benda in testa oppure di calcarsi una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una Porsche; seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i titoli di qualche best-seller; vestirsi con pantaloni e magliette prepotentemente alla moda; avere rapporti ossessivi con ragazze tenute accanto esornativamente, ma, nel tempo stesso, con la pretesa che siano «libere» ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali.


Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi identici atti, hanno questo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili; cosa vecchia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria: ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968.


I problemi di un intellettuale appartenente all’intelligencija sono diversi da quelli di un partito e di un uomo politico, anche se magari l’ideologia è la stessa. Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo subisse un arresto e si avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente realistico il cosiddetto «compromesso storico», unico modo per cercare di correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto al CC del partito comunista (cfr. «l’Unità », 4-6-1974). Tuttavia, come a Maurizio Ferrara non competono le «facce», a me non compete questa manovra di pratica politica. 

Anzi, io ho, se mai, il dovere di esercitare su essa la mia critica, donchisciottescamente e magari anche estremisticamente. Quali sono dunque i miei problemi?


Eccone per esempio uno. Nell’articolo che ha suscitato questa polemica («Corriere della sera», 10-6-1974) dicevo che i responsabili reali delle stragi di Milano e di Brescia sono il governo e la polizia italiana: perché se governo e polizia avessero voluto, tali stragi non ci sarebbero state. È un luogo comune. Ebbene, a questo punto mi farò definitivamente ridere dietro dicendo che responsabili di queste stragi siamo anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra. 

Infatti in tutti questi anni non abbiamo fatto nulla:
1) perché parlare di « Strage di Stato » non divenisse un luogo comune, e tutto si fermasse lì;
2) (e più grave) non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione più tranquilla era la coscienza.


In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. 

E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione.
Ma non potevamo distinguerli dagli altri (non dico dagli altri estremisti: ma da tutti gli altri). È questa la nostra spaventosa giustificazione.


Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere, tra tutti quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore.


Pensate (se ne avete la forza) a quel ragazzo o a quei ragazzi che sono andati a mettere le bombe nella piazza dì Brescia. Non c’era da alzarsi e da andare a prosternarsi davanti a loro? Ma erano giovani con capelli lunghi, oppure con baffetti tipo primo Novecento, avevano in testa bende oppure scopolette calate sugli occhi, erano pallidi e presuntuosi, il loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze ornamentali, si, ma moderne, e a favore del divorzio, della liberazione della donna, e in generale dello sviluppo… Erano insomma giovani come tutti gli altri: niente li distingueva in alcun modo. Anche se avessimo voluto non avremmo potuto andare a prosternarci davanti a loro. 

Perché il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e I’omologazione brutalmente totalitaria del mondo. 

Dal “Corriere della Sera” col titolo Il Potere senza volto

sabato 13 giugno 2020

IN TANTI CHIEDONO LE DIMISSIONI DI ALBERTO SAMONA'





Da IL FATTO QUOTIDIANO di ieri

https://cesim-marineo.blogspot.com/2020/06/in-tanti-chiedono-le-dimissioni-di.html   

del mio caro amico fraterno  Francesco  Virga

Mi piace riprendere stamattina due argute note scritte da amici, in margine ad un noto fatto di cronaca (sempre più nera!):


1. Alberto Samonà, nominato dal presidente della Regione Musumeci assessore alla Cultura e all’Identità siciliana, massone in sonno, ex militante del Fronte della Gioventù e ora leghista dopo un passaggio burrascoso nel Movimento 5 Stelle, è anche poeta. Non un poeta qualsiasi, uno che scrive versi sulle albe e i tramonti, ma un poeta di rimpianto.

Una ventina d’anni fa (scoop del Fatto Quotidiano) ha scritto una poesia sulle SS, le famigerate squadre d’assalto di Hitler, che ha definito i “monaci dell’onore”.

Adesso, questo rampollo di famiglia aristocratica siciliana nega come chi è stato preso con le mani nel sacco, in modo infantile, confuso e poco credibile. Ovviamente, è stato difeso da Salvini che ha cercato di annullarne le responsabilità mettendo nel calderone fascisti, nazisti, comunisti. Il solito gioco.

 E dire che la famiglia Samonà negli anni Sessanta aveva ospitato persone del calibro di Moravia, Antonioni, Tomasi di Lampedusa, Lucio Piccolo, Corrado Cagli. Che dire? Fossi in Musumeci, persona che conosco da quando era al liceo, e certo non è un volgare fascista, lo solleverei dall’incarico per nominarlo cittadino onorario dell’isola Ferdinandea, l’isola che non c’è, l’isola emersa dal mare nel 1831, tra Sciacca e Pantelleria, e scomparsa quasi subito. E dire che quel pezzo di lava fu conteso da Francia e Inghilterra! Mi pare una buona e onorevole via d’uscita.

Piero Isgrò,  12 giugno 2020  dal suo diario fb

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2. L’orrore, l’orrore. Bisogna essere amici dell’orrore.
La lezione di Conrad, finemente interpretata da Marlon Brando nell’Apocalypse Now di Coppola, ha sempre accompagnato la mia vita, a volte per spiritoso motto di spirito, altre volte seriamente.
Tuttavia, quasi più dei massacri, mi ha sempre sconvolto la loro ombra proiettata nella nostra vita quotidiana, quando il computo richiesto all’abisso diventa convivenza indifferente di ogni giorno, gestione del discorso pubblico, calcolo, azzeccagarbuglismo. Una forma dello scendere a patti con l’inferno, per le più svariate e variegate ragioni.
Il nazismo esoterico ha radici profonde in Sicilia, almeno quanto gli intrecci misteriosi, mai del tutto chiariti, della destra eversiva italiana con Cosa Nostra siciliana. Pio Filippani Ronconi, indologo esoterista, tantrista, appassionato di una cosa enigmatica ai più e non solo da lui definita “la via della mano sinistra”, fu un alto ufficiale della Legione italiana delle SS e periodicamente negli anni ‘80 teneva dotte prolusioni a Palermo, regolarmente invitato. Il professor Furio Jesi condusse proprio all’università di Palermo parte dei suoi studi sul nazismo magico. E non mi sfugge che universi come quelli tolkeniani, per esempio, oppure indologici registrino parimenti medesime incursioni di appassionati provenienti da parti politiche opposte. Argomenti interessanti e persino poco indagati. Ma io che voglio approfondirli non faccio l’assessore regionale. Talvolta ci sono semplici motivi di opportunità. L’altra strada, invece, messo da parte il criterio dell’opportunità, è costringere chi non si sente di lanciare anatemi in nessun caso e contro nessuno (magari per propri motivi politici) di dover calcolare attentamente quante once dell’ombra di massacri o di orrore possano mai essere compatibili con una carica pubblica, oppure quante e quali abiure siano necessarie ad emendarsi. È già solo questo (i distinguo, i codicilli, le subordinate) aprono il portello delle bocche dell’inferno.
Quando al semplice, civile criterio dell’opportunità si vuole sostituire la sola propria forza, fosse pure giustificata da legittimità politiche o consensi elettorali, ho sempre il dubbio che buon senso e buona fede si dileguino, in favore dell’oscuramento della ragione, con tutto quel che ne consegue. Se la ragione si oscura, perché non chiedermi se dopo tutto anche quella di Primo Levi sia esclusivamente una testimonianza di parte, che vada finalmente compensata dall’altrettanto legittimo punto di vista dei suoi carnefici?
Simpatico che la Sicilia discuta di SS. Lo fa negli stessi modi in cui ha dibattuto di stragi e di omicidi di mafia. Perciò, da visionario che non vi auguro di diventare, ho sempre visto un nesso tra questi due argomenti estremi. E avendone scritto, mettendoci la faccia, vi ripropongo ossessivo l’interrogativo che allora mi posi: ma secondo voi, quando si è fottuta la Sicilia?  

Piero Melati, 12 giugno 2020   (testo ripreso dal suo diario fb)



giovedì 11 giugno 2020

Ed ancora Altro Manifesto delle buone pratiche-(Sapienza di Gesù di Sirach [Ecclesiastico] 38, 1-14)- Con il Grazie al caro Padre Daniele Marletta

«Onora il medico come si deve secondo il bisogno,
anch'egli è stato creato dal Signore.

Dall'Altissimo viene la guarigione,
anche dal re egli riceve doni.

La scienza del medico lo fa procedere a testa alta,
egli è ammirato anche tra i grandi.

Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,
l'uomo assennato non li disprezza.

L'acqua non fu forse resa dolce per mezzo di un legno,
per rendere evidente la potenza di lui?

Dio ha dato agli uomini la scienza
perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie.

Con esse il medico cura ed elimina il dolore
e il farmacista prepara le miscele.

Non verranno meno le sue opere!
Da lui proviene il benessere sulla terra.

Figlio, non avvilirti nella malattia,
ma prega il Signore ed egli ti guarirà.

Purìficati, lavati le mani;
monda il cuore da ogni peccato.

Offri incenso e un memoriale di fior di farina
e sacrifici pingui secondo le tue possibilità.

Fa' poi passare il medico
- il Signore ha creato anche lui -
non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno.

Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani.
Anch'essi pregano il Signore
perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia
e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita.»


(Sapienza di Gesù di Sirach [Ecclesiastico] 38, 1-14)

sabato 6 giugno 2020

ancora un Manifesto delle buone pratiche- Günther Anders, "L'uomo è antiquato", 1956 traduzione italiana dal web



"Per soffocare in anticipo ogni rivolta,
non bisogna essere violenti.

I metodi del genere di Hitler sono superati.
Basta creare un condizionamento collettivo così potente
che l'idea stessa di rivolta non verrà nemmeno
più alla mente degli uomini.

L' ideale sarebbe quello
di manipolare  gli individui
fin dalla nascita
limitando le loro
abilità biologiche innate.

In secondo luogo,
si continuerebbe il condizionamento
riducendo drasticamente l'istruzione,
per riportarla ad una forma di inserimento professionale.

Un individuo ignorante
ha solo un orizzonte
di pensiero limitato
e più il suo pensiero è limitato
a preoccupazioni mediocri,
meno può rivoltarsi.

Bisogna fare in modo
che l'accesso al sapere diventi sempre
più difficile e elitario.

Il divario tra il popolo
e la scienza,
che l'informazione
destinata al grande pubblico
sia anestetizzata
da qualsiasi contenuto sovversivo.

Niente filosofia.

Anche in questo caso bisogna usare
la persuasione
e non la violenza diretta:
si diffonderanno massicciamente,
attraverso la televisione,
divertimenti che adulano sempre l'emotività o l'istintivo.

Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso.

E' buono,
in chiacchiere
e musica incessante,
impedire allo spirito di pensare.

Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani.
Come tranquillante sociale, non c'è niente di meglio.

In generale si farà in modo di bandire
la serietà dell'esistenza,
di ridicolizzare tutto ciò
che ha un valore elevato,
di mantenere una costante apologia della banalità ;
in modo che l'euforia della pubblicità
diventi lo standard
della felicità umana.


E' il modello della libertà.

Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione,
che l'unica paura,
che dovrà essere mantenuta,
sarà quella di essere esclusi dal sistema
e quindi di non poter
più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.

L' uomo di massa,
così prodotto,
deve essere trattato
come quello che è:
un vitello,
e deve essere controllato  come deve essere un gregge.

Tutto cio' che permette
di far addormentare
la sua lucidità
e' un bene sociale,
e ciò che  renderebbe 
possibile  il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato,

Ogni dottrina che mette
in discussione il sistema deve prima essere
designata come
sovversiva e terrorista
e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali. 



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