
L’Apocalisse: un eterno presente. A colloquio con Sergio Quinzio, in «Parolibera. Sicilia-Europa-Sicilia», n. 4, gennaio-giugno 1996, pp. 11-12.
Ho quasi settanta anni! E occorre perciò guardare agli anni passati ... Ho sempre avuto, presupposta a tutti i miei scritti, questa idea: è inseparabile dall annunzio cristiano l idea che l uomo non possa salvarsi con le sue forze, né con le sue capacità progettuali, né grazie all impegno etico. Ciò sia perché egli difficilmente tiene fede agli obblighi che si è dato, sia perché rimane in uno stato d’ incertezza nei confronti di quel che è eticamente lecito.A tal proposito, pensiamo a questioni quali l eutanasia, la pena di morte, gli interventi umanitari: sono tutti problemi che si collocano lungo un confine molto labile. Credo, quindi, che la storia umana, dal punto di vista cristiano –lo afferma San Paolo, allorché parla del significato della croce di Cristo – , rechi il segno di una legge che determina il peccato, sicché l essenza della fede cristiana sta nell accettazione del fatto che l uomo non possa salvarsi con nessuno dei mezzi che ha a disposizione: nè quelli che gli vengono dalla razionalità, nè quelli che gli vengono dall eticità. Può solo invocare la salvezza, la quale, in se stessa, è una condizione disperata, poiché non arriva quando la si vorrebbe; e però senza di essa non èpossibile rimanere nel Cristianesimo, che non può prescindere dalla croce di Cristo
Ho quasi settanta anni! E occorre perciò guardare agli anni passati ... Ho sempre avuto, presupposta a tutti i miei scritti, questa idea: è inseparabile dall annunzio cristiano l idea che l uomo non possa salvarsi con le sue forze, né con le sue capacità progettuali, né grazie all impegno etico. Ciò sia perché egli difficilmente tiene fede agli obblighi che si è dato, sia perché rimane in uno stato d’ incertezza nei confronti di quel che è eticamente lecito.A tal proposito, pensiamo a questioni quali l eutanasia, la pena di morte, gli interventi umanitari: sono tutti problemi che si collocano lungo un confine molto labile. Credo, quindi, che la storia umana, dal punto di vista cristiano –lo afferma San Paolo, allorché parla del significato della croce di Cristo – , rechi il segno di una legge che determina il peccato, sicché l essenza della fede cristiana sta nell accettazione del fatto che l uomo non possa salvarsi con nessuno dei mezzi che ha a disposizione: nè quelli che gli vengono dalla razionalità, nè quelli che gli vengono dall eticità. Può solo invocare la salvezza, la quale, in se stessa, è una condizione disperata, poiché non arriva quando la si vorrebbe; e però senza di essa non èpossibile rimanere nel Cristianesimo, che non può prescindere dalla croce di Cristo
La speranza nel miracolo di Dio è però una speranza
molto sui generis . Non ha alcun rapporto con la conoscenza,
non si può conoscere quello che accadrà per mezzo dell’ascesi o
della propria condotta di vita. La speranza di
Dio è, per dirla con Horkheimer, la nostalgia del totalmente altro. Oppure,
secondo quanto ci ricorda Capitini, il non voler accettare
che l’acqua di un ruscello scorra con la stessa indifferenza su una
pietra o sul volto di un bambino annegato. La fede consiste in una remissione
totale: Abramo, alla sua età, ha rimesso la propria speranza in Dio e ha avuto
Isacco. Ma la speranza non ha la struttura della conoscenza: si crede a ciò che non si sa; così come si spera di avere
quello che non si possiede. Essa è la follia di un bisogno, il rifiuto
di accettare la realtà presente, un grido disperato.
Per me
l ’Apocalisse, nel suo realizzarsi storico,
è l ’esatto pendant della Croce. La Croce è patibolo e nello stesso tempo fonte di vita. È lo stesso
paradosso di sempre, non c’è una scala ascendente che grazie all’etica
porti l’uomo più in alto, fino a raggiungere la Giustizia e
la Pace. Ci sarà invece uno iato. E per superare questo iato occorre un atteggiamento
rivoluzionario. Mi spiego meglio. Pensiamo alla rivoluzione russa: un rivoluzionario
non poteva pensare ai poveri mugiki, allo Zar, ai nobili ... Quel mondo
non poteva più rimanere, perché non ci sarebbe stata la rivoluzione. Il dolore
e la morte in tal senso non provengono da una scelta, ma sono imposti. È vero
che Isaia lancia un anatema suchi calcola i giorni di Dio ed invoca la fine,
tuttavia quella fine dovrà pur venire. Come nel caso di una madre che attende la nascita del figlio: non è che essa
voglia le doglie del parto, ma quelle doglie bisogna che ci siano se si vuole
che il figlio nasca
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