venerdì 8 maggio 2020

7 Maggio Santa ed Apocalittica Notte-(Lucrezio, De rerum natura, VI, 1145-1196)- La lucida visione del De rerum natura nel tempo del coronavirus-Massimo Pigliucci: Da: Stoicismo-Esercizi Spirituali per un Anno, seconda settimana. -Epitteto e Seneca-PIGLIUCCI Massimo, Come essere stoici, Garzanti, 2017.-ERACLITO, di Jorge Luis Borges




7   Maggio Santa ed Apocalittica Notte-(Lucrezio, De rerum natura, VI, 1145-1196)-

La lucida visione del De rerum natura nel tempo del coronavirus-Massimo Pigliucci: Da: Stoicismo-Esercizi Spirituali per un Anno, seconda settimana. -Epitteto e Seneca-PIGLIUCCI Massimo, Come essere stoici, Garzanti, 2017.-ERACLITO, di Jorge Luis Borges








Dapprima avevano il capo in fiamme per il calore
e soffusi di un luccichìo rossastro ambedue gli occhi.
La gola, inoltre, nell’interno nera, sudava sangue,
e occluso dalle ulcere il passaggio della voce si serrava,
e l’interprete dell’animo, la lingua, stillava gocce di sangue,
infiacchita dal male, pesante al movimento, scabra al tatto.
Poi, quando attraverso la gola la forza della malattia
aveva invaso il petto ed era affluita fin dentro il cuore afflitto
dei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita.
Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante,
simile al fetore che mandano i putridi cadaveri abbandonati.
Poi le forze dell’animo intero ‹e› tutto il corpo
languivano, già sul limitare stesso della morte.
E agli intollerabili mali erano assidui compagni
un’ansiosa angoscia e un lamentarsi commisto con sospiri.
E un singhiozzo frequente, che spesso li costringeva notte e giorno
a contrarre assiduamente i nervi e le membra, li struggeva
aggiungendo travaglio a quello che già prima li aveva spossati.
Né avresti notato che per troppo ardore in alcuno
bruciasse alla superficie del corpo la parte più esterna,
ma questa piuttosto offriva alle mani un tiepido contatto,
e insieme tutto il corpo era rosso d’ulcere quasi impresse a fuoco,
come accade quando per le membra si diffonde il fuoco sacro.
Ma la parte più interna in quegli uomini ardeva fino alle ossa,
nello stomaco ardeva una fiamma, come dentro fornaci.
Sicché non c’era cosa, benché lieve e tenue, con cui potessi giovare
alle membra di alcuno, ma vento e frescura cercavano sempre.
Alcuni immergevano nei gelidi fiumi le membra ardenti
per la malattia, gettando dentro le onde il corpo nudo.
Molti caddero a capofitto nelle acque di pozzi profondi,
mentre accorrevano protendendo la bocca spalancata.
La sete che li riardeva inestinguibilmente e faceva immergere
i corpi, rendeva pari a poche gocce molta acqua.
E il male non dava requie: i corpi giacevano
stremati. La medicina balbettava in un muto sgomento,
mentre quelli tante volte rotavano gli occhi spalancati,
ardenti per la malattia, privi di sonno.
E molti altri segni di morte si manifestavano allora:
la mente sconvolta, immersa nella tristezza e nel timore,
le ciglia aggrondate, il viso stravolto e truce,
le orecchie, inoltre, tormentate e piene di ronzii,
il respiro frequente o grosso e tratto a lunghi intervalli,
e stille di sudore lustre lungo il madido collo,
sottili sputi minuti, cosparsi di color di croco
e salsi, a stento cavati attraverso le fauci da una rauca tosse.
Non cessavano, poi, di contrarsi i nervi nelle mani e di tremare
gli arti, e di montare su dai piedi a poco a poco il freddo.
Così, quando alfine si appressava il momento supremo,
erano affilate le narici, assottigliata e acuta la punta
del naso, incavati gli occhi, cave le tempie, gelida e dura
la pelle nel volto, cascante la bocca aperta; la fronte rimaneva tesa.
E non molto dopo le membra giacevano irrigidite dalla morte.

(Lucrezio, De rerum natura, VI, 1145-1196)



La lucida visione del De rerum natura nel tempo del coronavirus


''......Dal capolavoro del poeta e filosofo latino impariamo che il terrore dell’animo e le tenebre causate dal virus (anche i video, le battute e i meme rassicuranti che imperversano sui social in modo “virale”, i quali, seppur divertenti, non sono nient’altro che paura dissimulata di fronte al pericolo), possono essere dissipati «non dai raggi del sole o dai lucenti dardi del giorno, ma dalla visione e dalla scienza della natura». Il testo latino dice naturae species ratioque, meglio traducibile con «osservazione razionale della natura», il che significa il rifiuto deciso e sistematico di essere ridotti a preda degli eventi.





Massimo Pigliucci: Da: Stoicismo-Esercizi Spirituali per un Anno, seconda settimana. -Epitteto, Manuale 2,1-2)


Concentrati su ciò che è completamente sotto il tuo controllo.
Ricorda che il desiderio promette di farti ottenere ciò che desideri, l’avversione di non farti incorrere in ciò che avversi, e che chi non raggiunge l’oggetto del desiderio non ha la sorte dalla sua, mentre chi ricade in qualcosa da cui sta rifuggendo patisce la cattiva sorte. Ora, se avverserai soltanto ciò che è contrario alla natura tra le cose che sono in tuo potere, non incorrerai in nulla di ciò che avversi; ma se avverserai la malattia, la morte o la povertà, patirai la cattiva sorte. Pertanto rimuovi ogni avversione da tutto ciò che non dipende da noi e trasferiscila alle cose che, tra quante dipendono da noi, sono contrarie alla natura. (Epitteto, Manuale 2,1-2)


Epitteto e Seneca

Non accogliere il sonno sui delicati occhi prima di aver riflettuto su ciascuna delle azioni compiute durante la giornata.

“In che cosa ho errato” Che cosa ho fatto? A quale dovere ho mancato?”

Comincia da lì e prosegui l’esame; e poi

biasima quello che hai fatto di basso

e gioisci per ciò che hai fatto di buono



Epitteto, DIATRIBE,  III, 10, 2-3



SENECA:
2020-04-18_000114

Seneca, De ira, III, 36, 1-4

PIGLIUCCI Massimo, Come essere stoici, Garzanti, 2017.

pigli857



ERACLITO, di Jorge Luis Borges


Eraclito cammina per la sera
di Efeso. La sera lo ha lasciato,
senza che la sua volontà lo decidesse,
sulla riva di un fiume silenzioso
il cui destino e il cui nome ignora.
C’è un Giano di pietra e qualche pioppo.
Si guarda nello specchio fuggitivo
e scopre ed elabora la sentenza
che le generazioni degli uomini
non lasceranno cadere. La sua voce dichiara:
Nessuno scende due volte nelle acque
dello stesso fiume. Si sofferma. Sente
con lo stupore di un orrore sacro
di essere anche lui un fiume e una fuga.
Vuole recuperare quel mattino
e la sua notte e la sua vigilia. Non può.
Ripete la sentenza. La vede stampata
in futuri e chiari caratteri
in una delle pagine di Burnet.
Eraclito non sa il greco. Giano,
dio delle porte, è un dio latino.
Eraclito non ha ieri né adesso.
E’ soltanto un artificio che ha sognato
un uomo grigio sulle rive del Red Cedar,
un uomo che intesse endecasillabi
per non pensare tanto a Buenos Aires
e ai visi amati. Ne manca uno.




FONTE  PER TUTTI I TESTI  INDICATI

Antologia del TEMPO che resta

“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io", Michel De Montaigne


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