sabato 19 febbraio 2022

Un piano segreto dietro Tangentopoli? Il retroscena di Paolo Cirino Pomicino su De Benedetti(16-02-2022)



Un piano segreto dietro Tangentopoli? Il retroscena di Paolo Cirino Pomicino su De Benedetti-


https://www.ilgiornale.it/news/politica/i-trentanni-mani-pulite-de-benedetti-sapeva-gi-tutto-pochi-2010459.html


«Nella primavera del 1991 - è il racconto al Giornale del politico democristiano, allora ministro del Bilancio nel governo Andreotti - venne a trovarmi Carlo De Benedetti con cui avevo un rapporto di amicizia, anche se la pensavamo in modo diverso. In pratica mi spiegò che con altri imprenditori legati al «salotto buono» di Enrico Cuccia voleva modificare gli assetti politici del Paese e spostarli verso i post-comunisti che al congresso di Rimini, in febbraio, avevano fondato il Pds e si erano convertiti a posizioni riformiste».

Insomma, l'establishment italiano aveva annusato l'aria e aveva intuito, o sapeva, che il vento stava cambiando e si stava preparando una nuova stagione. Non era ancora Mani pulite, ma certo con la caduta del Muro gli equilibri nati nel 1945 erano saltati e l'epoca del bipartitismo imperfetto, la Dc al potere e il Pci all'opposizione, era arrivata ai titoli di coda.


Servivano schemi diversi e combinazioni inedite e il gotha dell'industria tricolore aveva fatto le sue scelte, sposando la sinistra.


È esattamente quel che Cirino Pomicino ha narrato a Simone Spetia per il podcast di Radio 24 Monetine, confezionato per l'anniversario di Mani pulite. «Parlare di golpe sarebbe una fregnaccia», mette le mani avanti il neurologo da sempre nel Palazzo - piuttosto direi che De Benedetti voleva cavalcare quei rivolgimenti e dunque mi lanciò l'idea: Fai il mio ministro. Fai tu il nostro industriale replicai capovolgendo la frittata e chiamando in causa anche Andreotti. Insomma, la questione finì sul ridere, ma De Benedetti capì che non condividevo quel progetto».

Cirino Pomicino aveva già accennato a questa vicenda nei suoi scritti, ma ora si sofferma su quelle settimane cruciali che portarono al tramonto della Prima Repubblica: «Io condussi le mie verifiche e scoprii che la trama c'era ed era molto articolata. Dunque, preoccupato e inquieto, informai i capi della Dc ma ho sempre avuto il privilegio di non essere creduto e la cosa finì lì».


«A dicembre '90 la corrente andreottiana si era riunita e in quel convegno c'erano state presenze importanti, a cominciare dallo stesso De Benedetti, dal Presidente di Confindustria Sergio Pininfarina e da imprenditori del calibro di Giorgio Falck. Sembrava che tutto filasse per il meglio, ma era solo un abbaglio. A settembre '91, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, mi accorsi che il clima era completamente cambiato. I cosiddetti poteri forti ci avevano abbandonato, i grandi giornali, dal Corriere alla Repubblica, iniziarono a criticarci pesantemente, e mi avvidi che la Dc e il pentapartito avevano perso la sintonia con le classi dirigenti del Paese». *


 «A giugno '92, con Amato a Palazzo Chigi - prosegue l'ex deputato napoletano, autore di numerosi libri - Gerardo Chiaromonte, uno dei pezzi da novanta della nomenklatura rossa, mi fece sapere riservatamente che il Pds aveva scelto la via giudiziaria per andare al potere. E so che la stessa comunicazione arrivò al leader liberale Renato Altissimo. Cosa questo significasse in concreto non me lo chiarì, ma certe anomalie sono evidenti anche oggi, a distanza di tanto tempo e, in parte, restano inspiegabili: il Pds e la sinistra democristiana, insomma i soggetti che poi formarono l'Ulivo, schivarono miracolosamente la tempesta. Solo non avevano calcolato tale Silvio Berlusconi. Ma quella è un'altra storia». **



*Il sito. https://culturaidentita.it/quel-complotto-dellalta-finanza-che-anniento-il-pentapartito/?fbclid=IwAR15v5pE7f6eH-cWhy8HS9Y2y2NIybHuzTONChwgFh9MDLeMzEk_Ma-qomo

presenta. questa versione virgolettata per una precedente conversazione con Pomicino nel giugno 2020  "Poche settimane dopo, però, ebbi da più parti conferma di questa iniziativa della cosiddetta borghesia azionista (il salotto buono del capitalismo italiano) e del Partito Comunista che, con la caduta del Muro di Berlino, era rimasto privo di storia, identità e futuro, tanto che proprio in quei mesi al congresso di Rimini cambiò nome. Tentai di spiegarlo ad alcuni amici autorevoli ed anche al caminetto della DC (Andreotti, Forlani, De Mita, Martinazzoli, Gava), che invitai nell’ottobre del 1992 a casa mia sull’Appia antica, ma non fui convincente. A settembre del 1991 ci furono le prime avvisaglie a Cernobbio, quando gli industriali si scagliarono con durezza contro lo stesso governo che dieci mesi prima avevano lodato.


**. il sito https://culturaidentita.it/quel-complotto-dellalta-finanza-che-anniento-il-pentapartito/?fbclid=IwAR15v5pE7f6eH-cWhy8HS9Y2y2NIybHuzTONChwgFh9MDLeMzEk_Ma-qomo 

così  presenta questa parte finale dell'intervista di Pomicino con riferimento ad una precedente conversazione del giugno 2020  

A febbraio l’arresto di Mario Chiesa e l’avvio della campagna contro il PSI, secondo lo schema degli Orazi e Curiazi, già preannunciato qualche mese prima da Di Pietro al console americano a Milano Peter Semler. La cronaca successiva è nota, tra arresti anche di innocenti e indagini a tutto campo da parte di varie procure egemonizzate da una minoranza di sostituti che fecero scempio del diritto con i Gip travolti dall’onda mediatica. Il finanziamento elettorale di cui fruivano tutti i partiti , di cui parlò Craxi in Parlamento nel silenzio generale, e la cui illiceità era la mancata dichiarazione alle Camere di appartenenza, si trasformò in corruzione, concussione, riciclaggio.


Eppure tanti furono assolti. In 42 procedimenti, personalmente fui condannato una sola volta per finanziamento illecito nella vicenda Enimont, in cui furono condannati tutti i segretari politici dei partiti di governo, Bossi compreso, mentre i vertici del PCI, che avevano ricevuto l’anno prima da Gardini un miliardo di lire consegnato a Botteghe Oscure, rimasero fuori dall’indagine perché, guarda caso, non si scoprì chi li aveva presi e Occhetto, contrariamente agli altri segretari, poteva non sapere. Raccontare dettagli sarà compito degli storici, ma devo ricordare che quando mi arrestarono nell’ottobre del 1995 i due PM, mi domandarono se volevo chiedere gli arresti domiciliari per ragioni di salute (ero già bypassato). Declinai l’invito, dicendo loro che la salute di quel giorno era la stessa del giorno prima, quando mi avevano arrestato, e tornai in cella per 17 lunghi giorni. Fui assolto in istruttoria per uno dei due reati contestati e rinviato a giudizio per corruzione, ma fecero passare ben 13 anni per l’udienza preliminare e prescrissero il procedimento dicendo che questo non significava che Pomicino fosse colpevole.


Ciò che ho raccontato fu un fattore di grande sofferenza per molti, ma politicamente un aspetto minore rispetto a quel che accadde il 2 giugno 1992 sul Britannia, il grande Yacht della regina Elisabetta, dove grandi società finanziarie inglesi riunirono i più autorevoli personaggi del mondo finanziario italiano tra cui i capi delle partecipazioni statali, delle banche pubbliche e private e del Tesoro per discutere delle privatizzazioni.


All’epoca l’Italia aveva in mani pubbliche il 25% dell’economia nazionale. Dieci mesi dopo il governo Amato fu mandato a casa per affidare a Carlo Azeglio Ciampi la guida di un esecutivo che avviò la svendita di alcune eccellenze finanziarie e diede alla mafia le risposte che pretendeva con le bombe di Firenze, Roma e Milano: nel novembre del 1993 il governo tolse il carcere duro a 300 mafiosi, cominciando a scarcerarne migliaia con condanne passate in giudicato, compresi gli assassini di Giovanni Falcone.


Quando la procura di Milano e le sue consorelle in alcune grandi città ebbero portato a termine il proprio lavoro, la macchina da guerra di Occhetto costrinse il prigioniero Scalfaro a sciogliere le camere anticipatamente. Occhetto andò per bastonare, ma fu bastonato dall’elettorato con la vittoria di Berlusconi. La macchina da guerra, però, non fu disarmata e quel che era accaduto al Pentapartito cominciò a subirlo Berlusconi e, con la complicità di Bossi, si arrivò prima al governo Dini e poi a quello di Prodi, con il PCI finalmente nella stanza dei bottoni. Le privatizzazioni continuarono, mentre i vecchi leader erano impegnati a difendere nei tribunali il proprio onore e quello dei rispettivi partiti. Alcuni ci riuscirono, altri no.


Molti anni dopo Giuseppe Guarino, ministro dell’Industria nel governo Ciampi, ma non partecipe al disegno politico-economico di De Benedetti, raccontò come rifiutò con sdegno la proposta di Cesare Romiti che, a nome dell’avvocato Agnelli, voleva acquistare l’intera IRI per 80 miliardi di lire (quaranta milioni di euro!). Quanto detto ora, ed altro scritto nei miei libri, è documentato e lo dimostra il fatto che gli eredi del PCI portarono subito in parlamento e al governo molti pubblici ministeri, a cominciare da Antonio Di Pietro, il portabandiera di quel disegno politico che io avevo rifiutato nel 1991.

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