lunedì 9 marzo 2020

Alla mia Patria dovunque essa sia



un nuovo radicamento contro l'omologazione globale e la retorica delle radici


Ogni giorno disegniamo la nostra scia sul mare, scegliamo la patria che più ci somiglia, i nostri avi e la nostra tradizione, le nostre bandiere e il nostro idioma, il nostro necessario radicamento.

La modernità ci vuole tutti sradicati: occorre non avere radici né tradizioni né famiglia per essere i perfetti consumatori compulsivi delle metropoli. La soluzione, però, non è il revival del nazionalismo, argine ingannevole alle derive della globalizzazione. Questa vuota retorica è solo una costruzione immaginaria obsoleta, un’invenzione “scadente”, strumentale, imposta dall’alto per capitalizzare politicamente il malumore diffuso. È necessario invece, come insegnano Svevo e Pavese, Pasolini e Levi (scrittori italiani universali proprio in quanto “provinciali”) tornare alle piccole patrie interiori, patrie d’elezione individuali e perciò collettive: perché le uniche radici – multiple e celesti – sono quelle che ognuno decide di avere, le patrie vere sono solo quelle immaginarie, e prima di essere difese, vanno conosciute e interiorizzate.
pagine:100
anno:2020
Filippo La Porta, critico letterario e saggista, collabora a quotidiani e riviste, tra cui il il domenicale del «Sole 24 ORE» e «Il Messaggero». Cura una rubrica su «Left» e scrive regolarmente su «Repubblica». Tra le sue innumerevoli pubblicazioni ricordiamo La nuova narrativa italiana (Bollati-Boringhieri, 1995), Maestri irregolari. Una lezione per il nostro presente (Bollati-Boringhieri, 2007), Pasolini (Il Mulino, 2012), Il Bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millenio (Bompiani, 2017), Un eretico controvoglia. Nicola Chiaramonte, una vita tra giustizia e libertà (Bompiani, 2019).

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.